
Prendendo liberamente spunto dalle riflessioni di José Ortega y Gasset contenute nel suo interessante saggio dal titolo La disumanizzazione dell’arte propongo, a mia volta, alcune considerazioni riguardo al rapporto fra l’arte e quello che potremmo chiamare l’elemento umano.
Nell’opera in questione, analizzando l’arte d’avanguardia, Ortega y Gasset scrive che la peculiarità di quest’ultima, dal punto di vista sociologico, è quella di aver diviso il pubblico in due categorie fondamentali: quella di coloro che la comprendono e quella di coloro che non la comprendono.
L’arte d’avanguardia - egli dice - contrariamente a quella romantica (il cui pubblico era la massa indistinta) è rivolta ad un ristretto pubblico di fruitori particolarmente dotati.
Per la massa - precisa il nostro Autore - un’opera d’arte è bella (molto semplicemente) quando ha la capacità di attirare l’attenzione di chi l’ammira verso i destini umani in essa rappresentati.
Il valore dell’opera, in sostanza, risiederebbe nella sua capacità di rappresentare la vita.
L’oggetto artistico di cui la massa gode - sostiene Ortega y Gasset - è dunque il medesimo oggetto che le persone sperimentano indistintamente nella loro quotidianità.
Queste ultime - egli dice - chiamano “arte l’insieme dei mezzi attraverso i quali viene loro offerto questo contatto con realtà umane interessanti. Per cui tollereranno le forme autenticamente artistiche, le irrealtà, la fantasia, soltanto nella misura in cui non alterano la loro percezione delle forme e delle peripezie umane”.
II vero godimento estetico però - sottolinea il nostro Autore - non può essere confuso con tale esperienza empatica: l’opera d’arte e l’elemento umano - egli dice - sono infatti due cose essenzialmente distinte.
Per meglio chiarire la propria analisi il filosofo spagnolo propone l’esempio che segue.
II vero godimento estetico - scrive - richiede una sorta di accomodamento della sensibilità percettiva.
Così come per poter vedere un giardino oltre il vetro di una finestra i nostri occhi devono orientarsi in una maniera particolare (è necessario cioè un processo di accomodazione in virtù del quale ignorando il vetro essi sono in grado di mettere a fuoco ciò che sta oltre), allo stesso modo, in una reale fruizione artistica è necessario, da parte del fruitore dell’opera, un accomodamento della sua percezione spirituale.
Il fruitore di un’opera d'arte - scrive Ortega y Gasset - se vuole sperimentare un vero godimento estetico non deve focalizzarsi sulla percezione dell’elemento umano rappresentato in essa, ma - è qui sta il cuore della questione - deve invece concentrare la propria attenzione sull'opera d’arte in sé, il cui contenuto è artistico nella misura in cui è irreale.
Il nucleo dell’intera argomentazione è perciò il seguente: o si vede il giardino o si vede il vetro; o si vede l'elemento umano o si vede l’opera d’arte. Una visione esclude l'altra.
Ebbene - prosegue il nostro Autore - “la maggior parte della gente è incapace di indirizzare la sua attenzione al vetro [...], se la si invita […] a porre l’attenzione sull’opera d'arte, dirà che in essa non vede nulla, perché in effetti non vi scorge cose umane, ma solo trasparenze artistiche, pure virtualità”.
Leggendo queste parole non ho potuto non pensare al fatto che il vetro (nella sua forma trasparente e non decorativa) è posto nelle finestre non per essere osservato ma perché si possa guardare fuori.
In un primo momento questa considerazione mi ha portato (erroneamente) a ritenere che nel rapporto fra vetro e ambiente esterno il valore da riconoscere (se così si può dire) fosse da ricercare esclusivamente nell’ambiente esterno.
Ben presto però mi sono reso conto dell’arbitrarietà insita nella posizione che andavo assumendo.
Vado ad esplicitare a grandi linee quello che è stato il mio ragionamento.
Una struttura abitativa - mi sono detto - non si erge sul nulla.
Ogni costruzione è edificata in un luogo specifico, e pertanto non può essere pensata se non in relazione all’ambiente nel quale essa è inserita.
Questo vale sia per l’abitazione nel suo complesso sia per i particolari elementi che la costituiscono (come il vetro che stiamo considerando).
Pertanto, se è vero che l’ambiente rappresenta un valore (evidentemente alcuni ambienti lo sono più di altri) è altrettanto vero che un valore lo possiede pure il vetro (diversamente non sarebbe utilizzato nella pratica costruttiva).
Ciò che mi preme sottolineare è che il valore di quest’ultimo, come si può facilmente riconoscere, è collegato indissolubilmente all’ambiente esterno.
A sostegno di ciò riporto tre semplici esempi: il vetro permette il passaggio della luce solare, consente di vedere all’esterno delle abitazioni, e (nel contempo) ripara dalle intemperie.
Come si può notare il suo valore, in qualche modo, deriva dalla sua capacità di essere in un’utile connessione con un qualcosa che è altro da sé: la luce, il paesaggio, le condizioni atmosferiche.
In sostanza, i due elementi (vetro e ambiente) non possono essere considerati in maniera disgiunta.
Pertanto - tornando alle riflessioni di Ortega y Gasset - è certamente vero che possiamo osservare il vetro in sé, tuttavia mi sembra altrettanto evidente che possiamo cogliere la sua trasparenza (che forse più di ogni altra cosa è ciò che lo caratterizza in quanto elemento) solo in riferimento a quel fuori e a quell’oltre che siamo in grado di osservare in virtù del suo particolare tipo di materialità.
Fra le caratteristiche che conferiscono valore a questo elemento abbiamo accennato alla sua capacità di offrire una visione protetta dalle intemperie, una visione protetta - lo ribadisco - di quell’oltre al quale indissolubilmente è collegato il suo valore.
In riferimento a tale caratteristica, e mantenendo l’accostamento fra vetro e arte, potremmo forse considerare quest’ultima come una forma di protezione attraverso la quale, in virtù dell’autodistanziamento che ad essa è connaturato, l’uomo può osservarsi e osservare il mondo.
Sottolineando, per inciso, quanto ciò riveli un intimo legame con la Logoterapia frankliana, vorrei evidenziare anche un altro aspetto.
Le due forme d’arte (la tradizionale e la nuova) - seppure in maniere differenti - rimandano entrambe ad un comune elemento universale nel quale il dato singolo in qualche modo si risolve.
Per quanto attiene alla prima, ciò è riconoscibile in quella particolare forma di esperienza emotiva che la caratterizza.
In essa, infatti, il fruitore riconosce nell’emozione contemplata non solo e non semplicemente l’espressione toccante della propria personale esperienza emotiva (come per una sorta di contagio emotivo fra il contenuto dell’opera e la propria personale biografia); in essa - dicevo - il fruitore riconosce il contatto con un’esperienza emotiva universale ed eterna, un’esperienza nella quale avverte il legame con qualcosa che lo riguarda nell’intimo ma che, al tempo stesso, non gli appartiene in senso esclusivo.
Per quanto attiene alla seconda, il rimando all’elemento universale è invece rilevabile nel concetto di schema (vedremo in seguito in che senso).
Ciò detto torniamo al nostro Autore e al suo testo.
Un'arte capace di produrre attraverso il vero gusto estetico è - egli dice - un’arte che si è purificata dagli elementi umani attraverso un processo di disumanizzazione.
Questo tipo di arte - che Ortega y Gasset chiama arte artistica - epurando dal proprio contenuto l'elemento di vita vissuta (che rappresenta il suo aspetto reale) quando è compresa porta dentro l'uomo l'elemento virtuale.
In questo tipo di arte ad essere interiorizzato sembrerebbe essere dunque il linguaggio stesso, che diventerebbe così l'oggetto stesso del godimento estetico.
Potremmo dire allora che l’arte artistica, essendo in qualche maniera un'elaborazione del e sul linguaggio, diventi un meta-linguaggio da cui deriva una particolare forma di comprensione e uno specifico godimento del linguaggio stesso.
Tenendo presente le considerazioni precedentemente esposte a proposito della trasparenza (la cui qualità può essere apprezzata solo in riferimento a quell’oltre che lo sguardo coglie attraversando la superficie del vetro) io credo che, allo stesso modo, si possa affermare che di questo meta-linguaggio caratteristico dell’arte artistica si possa godere esteticamente solo in virtù del collegamento inscindibile (per quanto non immediatamente riconoscibile) che esso conserva con quell’oltre rappresentato dalla vita vissuta.
Quest’ultima - pertanto - sarebbe lo sfondo celato che contribuisce alla creazione dell’esperienza estetica.
Anche nel caso dell’arte artistica l’elemento reale è dunque in qualche modo presente, non scompare in maniera assoluta.
Del resto lo stesso Ortega y Gasset ammette che “un nucleo di realtà vissuta” permane sempre, anche nell’arte artistica.
Sebbene dunque quest’ultima si impegni ad eliminarlo (l’elemento umano) - senza peraltro poterci riuscire in senso assoluto - di fatto anch’essa si trova ad affermarlo, seppure indirettamente.
Per questi motivi, l’unica cosa che forse si può dire è che, rispetto a quella non artistica, l'arte artistica richieda al fruitore un maggiore impegno nell’elaborazione razionale del suo contenuto (la fruizione in quest’ultima non è infatti immediatamente o prevalentemente emotiva come nella prima).
Detto ciò, in riferimento alla riflessioni di Ortega y Gasset, se dovessi esprimermi sulla capacità dell’arte di rappresentare la realtà direi che l’arte non artistica la rappresenta prevalentemente in maniera emotiva, mentre quella artistica lo fa in maniera prevalentemente razionale.
In fin dei conti, la questione mi pare si possa utilmente considerare ridefinendola in riferimento alla comprensione di una differente modalità di fruizione piuttosto che rispetto ad una differenziazione nella natura dell’arte, la quale - a mio parere - è unica ed in ultima analisi rimanda tutta all’espressione di come l’essere umano si percepisce nel cosmo in un dato momento.
Per questi motivi ritengo che l’espressione disumanizzazione dell’arte sia in qualche modo impropria.
L’arte artistica - si è detto - rimanda al linguaggio, si focalizza su di esso, elabora addirittura un meta-linguaggio attraverso il quale gode razionalmente della propria capacità espressiva.
Ora, essendo il linguaggio una peculiarità propriamente e specificatamente umana, l’arte artistica mi appare non tanto una disumanizzazione dell’arte, quanto piuttosto una sua intellettualizzazione.
Si potrebbe forse dire che essa rappresenti l’analisi dell’uomo condotta attraverso l’analisi delle sue possibilità espressive.
L’attenzione di questa forma d’arte - così per come la descrive Ortega y Gasset - mi pare infatti tutta concentrata sul come l’essere umano può esprimersi.
Per converso, l’arte non artistica mi pare invece focalizzarsi principalmente sul cosa dell’espressione.I due elementi, è evidente, si richiamano e si completano a vicenda.
Rinunciando ad emulare la realtà, l’arte artistica si propone di rappresentare non la cosa, ma l’idea della cosa.
Ora, voler rappresentare l’idea è voler rappresentare lo schema, l’astratto, la capacità formale di rappresentare.
A questo proposito vorrei sottolineare due aspetti.
Il primo è che la capacità formale che si intende rappresentare non è una capacità a caso, ma è la capacità formale di rappresentare propria dell’essere umano; quello schema, pertanto, parla del suo artefice (e in ciò - come si può notare - ritorna l’elemento umano).
II secondo è che per poter rappresentare un simile “oggetto” l’arte artistica è costretta in qualche modo a far riferimento a ciò che vorrebbe negare.
Il concetto stesso di rappresentazione, infatti, inesorabilmente richiama il dato rappresentabile, senza il quale l’atto stesso del rappresentare verrebbe meno.
Pertanto, più che per la negazione dell’oggetto in se stesso (la realtà vissuta dell’uomo), l’arte artistica mi pare caratterizzarsi per il suo tentativo di raffigurare il percorso formale del pensiero umano che - nelle sue manifestazioni più caratteristiche - perviene alla coscienza di sé.
Vedendo in questo tipo di espressione artistica una modalità attraverso la quale l'individuo si rapporta al dato essenziale della propria autocoscienza, più che di disumanizzazione, sarei portato a parlare di trans-umanizzazione dell’arte, intendendo con ciò il fatto che l’arte artistica può diventare per l'uomo un’ulteriore possibile forma di umanizzazione, un modo ulteriore per essere pienamente umani.
Pertanto, sotto questo riguardo, il poeta non “incomincia dove l'uomo termina” - come scrive Ortega y Gasset - direi piuttosto che il poeta incomincia dove l'uomo propriamente è.
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