
Leggendo le parole di Carl Gustav Jung riportate nell’immagine che accompagna questo articolo mi è tornata alla mente la storia di quel tale che, avendo perso le chiavi di casa, si mise a cercarle con instancabile impegno sotto la luce di un lampione.
Un passante, vedendolo così indaffarato, gli chiese: “Buon uomo cosa cerca con così tanto impegno?”.
“Le chiavi di casa”, rispose il primo.
“È sicuro di averle perse qui?”, continuò il passante.
“No, non credo di averle smarrite qui, ma più in là non si vede e allora mi sono messo a cercarle sotto la luce di questo lampione”.
Per quanto questa storia, a prima vista, possa sembrare come nient’altro che la storia di uno sciocco, il cui comportamento nulla ha a che fare con il comportamento di noi altri intelligenti che ne leggiamo il racconto (e forse ne giudichiamo la miseria), è possibile che, leggendola più in profondità, si riveli essere una storia non così estranea alle nostre vite come forse avevamo potuto pensare inizialmente.
Ogni uomo ha infatti le sue zone di sicurezza (qualunque esse siano) e in esse tende a condurre la propria esistenza.
Avventurarsi oltre le Colonne d’Ercole dei propri mondi conosciuti significa di fatto avventurarsi nell’ignoto.
La cosa non è semplice, perché la questione non riguarda solo la ragione, ma anche (sempre) l’emozione.
Al di qua delle Colonne, inevitabilmente, non possiamo che ritrovare ogni volta nient’altro che le nostre antiche identiche certezze, accompagnate per lo più dagli antichi identici dubbi ad esse confacenti.
Occasionalmente tali certezze possono pure mostrarsi con abiti differenti, ma, nella sostanza, con esse non avremo accesso a nessuna reale novità: la vitalità e l’accrescimento propri di ogni autentica conoscenza ci saranno preclusi.
Essendo generalmente motivati più dalla paura della perdita che dal desiderio del guadagno sarebbe utile - credo - domandarsi “Che cosa sono disposto a perdere (o a rischiare di perdere) per attraversare le mie Colonne d’Ercole (qualunque esse siano)?”.
A seguito dell’attraversata è possibile in effetti che molte cose si perdano, così come è possibile che altre si mantengano e che altre ancora si arricchiscono o si modifichino.
D’altra parte, paradossalmente - per citare Sheldon Kopp - alle volte si riesce a conservare proprio solo ciò a cui si è disposti a rinunciare.
Rileggo ancora una volta le parole di Jung.
Di nuovo ne sono toccato.
Ammirando il suo coraggio e la sua umiltà mi tornano alla mente le grandi anime (mi viene da chiamarle così) che ho avuto la grazia di incontrare finora nella mia vita.
Tutte, indistintamente, erano accomunate da tre caratteristiche: la generosità, l’umiltà e la gentilezza d’animo.
Tutte dal loro comportamento rivelavano di aver attraversato le proprie Colonne d’Ercole, e non una volta soltanto!
Riflettendo su tutto ciò mi rendo conto di quanto siano importanti gli esempi che ci vengono offerti e di quanto, a nostra volta, abbiamo responsabilità per gli esempi che offriamo.
I figli, ad esempio, non imparano tanto da quello che i genitori dicono loro, quanto piuttosto da quello che da loro vedono fare.
Non volendo caricare di eccessiva tensione questa responsabilità, un po’ ironicamente, mi piace concludere questo breve articolo ricordando, al tempo stesso, che i figli sopravvivono nonostante le buone intenzioni dei genitori; così come, d’altre parte, si può dire facciano i pazienti, i quali sopravvivono nonostante l’impegno profuso dai propri terapeuti.
Detto questo, poiché ognuno di noi ha le sue Colonne d’Ercole e poiché ad ognuno di noi la vita costantemente chiede di tracciare la rotta della propria navigazione, a tutti noi auguro un viaggio buono e completo.
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