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muoniguido

Considerazioni intorno alla colpa e ai suoi sensi



Prima voce: "Conosci tu il senso di colpa?".

Seconda voce: “Sì, lo conosco”.

Prima voce: “Cosa è?”.

Seconda voce: “È il sentimento che provi quando stai male per qualcosa che hai fatto (e non avresti dovuto fare) o che non hai fatto (e avresti invece dovuto fare)”.

Questo dialogo immaginario esprime, a grandi linee (e in maniera parziale), l’idea che molti hanno riguardo al senso di colpa.

Quanto dichiarato dalla seconda voce è certamente vero. Al tempo stesso, rispetto alla colpa e ai suoi sensi, è possibile (e utile) fare delle opportune precisazioni.

Fritz Perls, ad esempio, considerava il senso di colpa come lo strumento attraverso il quale le figure genitoriali (più o meno consapevolmente) limitano nei figli la loro spinta alla differenziazione.

Considera le seguenti affermazioni rivolte ad un bambino.

“Monello, non si fa così!”. O ancora: “Non mi dai un bacio? Allora mamma (o babbo) piange. Uh”.

Quello che Perls intende mettere in evidenza non è il fatto che al bambino vengano date delle regole o delle indicazioni sulle modalità ritenute appropriate per stare con gli altri.

Il suo intento è sottolineare quanto il senso di colpa del bambino (e poi dell’adulto) sia legato alla paura dell’abbandono, alla paura di uscire da quello stato di unione indifferenziata che egli normalmente si trova a vivere con il proprio gruppo di riferimento.

La paura dell’abbandono e la paura di “ritorsioni” da parte dei suoi altri significativi portano il bambino (e poi l’adulto) a ritenere sbagliate certe cose non in quanto tali, ma in quanto distanti, diverse, altre, rispetto a quelle attese dal proprio gruppo di appartenenza.

Nel momento in cui egli si differenzia pensando o agendo altrimenti - dice Perls - insorge in lui il senso di colpa.

Questo - precisa il padre della Psicoterapia della Gestalt - è il senso di colpa nevrotico.

Altra cosa è la colpa che sentiamo dopo aver fatto o pensato qualcosa che riteniamo essere sbagliata in se stessa (o almeno sbagliata dal nostro punto di vista).

In questo caso il sentimento della colpa è collegato al nostro essere presenti, consapevoli e integri nelle esperienze che viviamo.

Qui il confine fra noi e gli altri è ben definito e funzionante.

Se il primo era un sentire nevrotico, questo secondo - precisa Giovanni Salonia - è il sano sentire di fronte ad un errore commesso.

Esso è - potremmo dire - l’espressione del senso di responsabilità che accompagna ogni autentico processo di individuazione.

È una dura realtà, ma dalla strada che ci conduce ad essere chi siamo non possiamo eliminare né il dolore, né l’errore: entrambe queste esperienze fanno parte del cammino.

La paura della solitudine che si manifesta in certi momenti, quando si segue la propria strada, il proprio pensiero e il proprio sentire, può essere, alle volte, così grande da apparire addirittura insopportabile.

Ciò nonostante, è solo imparando a rimanere soli e a tollerare i nostri errori (facendone tesoro) che possiamo realmente incontrare gli altri.


Pubblicato il 09/07/2021 - Photo by K. Mitch Hodge on Unsplash

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