Le decisioni che prendi nella tua vita dicono molte cose di te.
Per questo motivo, comprendere il modo in cui prendi le tue decisioni è qualcosa che può esserti molto utile.
L’essere umano è un essere dotato di ragione, il che potrebbe far pensare che le decisioni che prendiamo le prendiamo perché precedentemente abbiamo fatto una valutazione razionale al riguardo.
La verità è che non sempre questo accade: spesso le nostre decisioni non hanno alla base ragioni di tipo logico, e la maggior parte delle volte il nostro sistema razionale interviene solo a cose fatte.
Forse ti stupirà sapere che la natura dei processi decisionali e la questione stessa del libero arbitrio è una faccenda tutt’altro che conclusa.
Nel 1983 Benjamin Libet per primo studiò scientificamente l’esistenza del libero arbitrio e lo fece con un esperimento diventato celebre.
Ai soggetti sperimentali venne chiesto di premere un pulsante (decidevano loro quando) mentre osservavano la lancetta in movimento di un orologio.
Una volta eseguita l’azione, venne chiesto loro di riferire in che posizione si trovasse la lancetta nel momento esatto in cui avevano sentito di aver preso la decisione di premere il pulsante; il tutto mentre i soggetti erano collegati ad un elettroencefalogramma.
Durante l’esperimento, Libet registrò anche la loro attività muscolare, così da identificare il momento preciso in cui essi mettevano in atto la decisione che avevano preso.
Dalle misurazioni emerse che c’era uno scarto di circa 300 millisecondi fra le due registrazioni, cioè fra quando essi riferivano di aver deciso di premere il pulsante e quando effettivamente lo avevano fatto.
Questa discrepanza è ragionevolmente dovuta al fatto che il segnale motorio per arrivare dal cervello ai muscoli ha bisogno di un certo tempo, la cosa cioè non è immediata.
Ciò che invece è risultato straordinario e ha reso l’esperimento così famoso è stata un’altra misurazione.
Analizzando i dati dell’elettroencefalogramma Libet scoprì una traccia grazie alla quale era in grado di identificare il momento in cui i soggetti sperimentali prendevano la loro decisione, con un anticipo di circa mezzo secondo rispetto al momento in cui essi stessi riferivano di averlo fatto.
L’esperimento suscitò molte reazioni, non solo positive.
Fra le obiezioni che vennero mosse, su tre in particolare, vi fu consenso fra i diversi ricercatori.
Prima obiezione: definire il momento esatto in cui si prende una decisione è una cosa difficile, e, anche ammesso si riesca, è altrettanto difficile misurare quel momento con precisione.
Seconda obiezione: prima di prendere una decisione ognuno di noi si prepara a farlo, un po’ come quando ci si mette in posizione sul trampolino di una piscina e si fanno quei piccoli movimenti di aggiustamento sulla pedana, indipendentemente dal fatto che poi la persona sul trampolino decida di fare effettivamente il tuffo; forse Libet aveva registrato questi momenti di preparazione e non l’effettivo atto decisionale.
Terza obiezione: cosa succede se qualcuno decide di premere il pulsante ma poi cambia idea?
Nonostante l’esperimento abbia ricevuto forti critiche, negli anni è stato replicato più volte.
Utilizzando come strumento di misura la risonanza magnetica funzionale al posto dell’elettroencefalogramma, l’equipe guidata da Chung Siong Soon ottenne risultati simili a quelli raggiunti da Libet.
Per ovviare alle prime due obiezioni, Soon utilizzò uno strumento più preciso (la risonanza magnetica) e aggiunse un secondo elemento di scelta (un altro pulsante accanto al primo).
In questo modo egli riuscì sia a identificare i differenti processi cerebrali in maniera più precisa, sia a separare la registrazione dei possibili “movimenti preparatori alla scelta” dalla effettiva realizzazione di quest’ultima (corrispondente alla scelta di uno dei due pulsanti).
Il lavoro di Soon rilevò un’attività significativa in alcune aree della corteccia frontale, in particolare la zona frontale e mediale, chiamata Area 10 di Brodmann.
L’esperimento sostanzialmente confermò i risultati di Libet, infatti l’attività di queste aree segnala con anticipo, rispetto a quando riferito dai soggetti sperimentali, il momento in cui inizia quell’azione che gli stessi soggetti affermano di aver eseguito a seguito di una loro precisa decisione.
Questa volta l’inizio dell’azione è stato registrato ben 8 secondi prima di quando riferito dai soggetti!
Risultati simili sono stati ottenuti anche da Itzhak Fried nel 2011.
Per quanto riguarda la terza obiezione, fu lo stesso Libet a fornire una risposta sulla base dei dati registrati durante l’esperimento.
Quando una persona decide di fare qualcosa e poi cambia idea nel suo cervello sono visibili una serie complessa di processi, una parte corrisponde all’azione che non si è più fatta e un’altra corrisponde all’azione di monitoraggio e di censura che ha impedito che quell’azione venisse eseguita.
Questi processi di monitoraggio ed eventuale censura sono elaborati da una zona frontale del cervello chiamata cingolo anteriore.
In sostanza, secondo Libet, le nostre decisioni non riguardano il dare inizio a qualcosa, perché questo avviene inconsciamente.
La nostra coscienza interviene solo a cose fatte, cioè per prendere consapevolezza di un’azione già decisa a livello inconscio o, eventualmente, per impedire che quella stessa azione decisa dai nostri neuroni a nostra insaputa possa realizzarsi.
A questo aggiungi il fatto che c’è chi, come Mariano Sigman, avanza l’ipotesi che questa stessa azione cosciente di monitoraggio e censura possa essere, a sua volta, determinata da altri nuclei di attività inconscia.
Insomma, ne viene fuori un loop di processi ricorsivi dai quali sembra molto difficile venirne a capo.
Con queste premesse è molto difficile poter dire quanto siamo liberi nelle nostre scelte, dal momento che, come si è detto, la consapevolezza su quanto stiamo per fare interviene quasi a cose fatte.
A ciò aggiungi il fatto che l’attività di monitoraggio e censura varia a seconda di quali aree cerebrali sono maggiormente attive, e ciò dipende a sua volta da quanto la decisione che devi prendere ti coinvolge emotivamente.
In sostanze, molte volte, quello che accade è che prima decidi qualcosa e poi ti convinci (o tenti di farlo) che la decisione che hai preso in maniera istintiva sia una decisione ragionevole e che, anzi, tu l’abbia presa coscientemente proprio in virtù della sua ragionevolezza.
Nessuno degli esperimenti che ho citato, tuttavia, dimostra in maniera incontrovertibile che il libero arbitrio non esista.
I motivi sono diversi, in parte per via del margine di precisione delle misurazioni, in parte perché abbiamo potere di veto sulle azioni già avviate, in parte perché l’esperimento di Libet, a cui si ispirano tutti gli altri, non tiene in considerazione il ruolo delle credenze e dei desideri personali, che invece hanno un ruolo rilevante nell’orientare le nostre decisioni.
Concludendo: le ricerche dimostrano che non siamo completamente liberi e immuni dagli effetti che certi stimoli possono provocare in noi, tuttavia il fatto di esserne consapevoli, forse può, in qualche maniera, darci quella “presenza” grazie alla quale, in certa misura, possiamo affrancarci da questa condizione ed essere così un po’ più liberi di quanto sembriamo essere.
Se vuoi approfondire la questione, ti consiglio la lettura di questo bel libro di Mariano Sigman, La vita segreta della mente.
Pubblicato il 11/07/2019 - Photo by Caleb Jones on Unsplash
Comments