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muoniguido

È possibile spezzare le catene dell’impotenza appresa?



Nel 1967 Martin Seligman e Steven Maier pubblicarono uno studio divenuto celebre nel quale presentarono quella che essi chiamarono impotenza appresa.


L’esperimento condotto dai due studiosi si sviluppava in due fasi; i soggetti coinvolti erano dei cani divisi in tre gruppi (due sperimentali e uno di controllo).

Nella prima fase della sperimentazione ai due gruppi sperimentali vennero somministrate delle scariche elettriche.

Attraverso un processo di apprendimento, i cani del gruppo uno impararono a interrompere le scariche elettriche premendo un pannello con la propria testa.

Anche i cani del gruppo due potevano premere un pannello, ma, in questo caso, nessuna azione esercitata su quest’ultimo era in grado di porre fine alle scariche.

A questo secondo gruppo vennero somministrate una quantità di scariche elettriche equivalente a quella ricevuta dal primo gruppo.

La situazione era dunque la seguente: nel primo caso, i cani furono posti di fronte ad uno shock evitabile (la pressione del pannello interrompeva la scarica); nel secondo caso, invece, lo shock era inevitabile (la scarica elettrica era presente indipendentemente da qualsiasi comportamento fosse stato messo in atto dagli animali).

Nella seconda fase della sperimentazione i cani (compreso il gruppo di controllo) vennero posti in una gabbia divisa in due parti separate fra loro da una barriera facilmente superabile.

Ad un certo punto la gabbia veniva elettrificata tramite il pavimento.

Gli animali potevano sfuggire alle scariche superando la barriera che separava le due parti della gabbia.

Questi i risultati: i cani del primo gruppo (e anche quelli del gruppo di controllo) impararono facilmente a porre fine alle proprie sofferenze spostandosi oltre la barriera dall’altra parte della gabbia; la maggior parte dei cani del secondo gruppo, invece, si sedette o si sdraiò sul pavimento della gabbia in attesa che le scariche cessassero.

In un articolo del 1972, sempre in riferimento al tema dell’impotenza appresa, Seligman scrisse che l’esposizione ad un’esperienza traumatica determina tipicamente tre effetti di base.

Prima di presentarti questi tre effetti, voglio sottolineare che un’esperienza traumatica è un’esperienza rispetto alla quale, per chi la vive, non è possibile esercitare alcuna forma di controllo (così come era stato per cani appartenenti al secondo gruppo nell’esperimento di cui ti ho parlato).

Ecco dunque i tre effetti di base descritti da Seligman.

Primo: gli animali tendono a manifestare passività nei confronti del trauma, vale a dire manifestano delle difficoltà ad iniziare la messa in atto e la prosecuzione di comportamenti volti ad eliminare la propria sofferenza. In alcuni casi, addirittura, non si registra alcun comportamento in tal senso.

Secondo: gli animali mostrano difficoltà nell’apprendere i rapporti di causa/effetto che legano le proprie azioni alla sofferenza che patiscono in un dato momento. Più precisamente: manifestano difficoltà nel comprendere che i comportamenti che essi mettono in atto possono incidere sulla propria sofferenza. Detto in altri termini: se fanno qualcosa che produce sollievo al loro soffrire, hanno difficoltà a comprendere che è stato proprio il loro comportamento a produrre quel sollievo.

Terzo: gli animali manifestano livelli di stress maggiore quando devono fronteggiare un’esperienza traumatica (in alcun modo controllabile da parte loro). Viceversa, posti di fronte ad una equivalente esperienza di dolore, rispetto alla quale, però, essi possono esercitare una qualche forma di controllo, i livelli di stress manifestati sono minori.

Questa interferenza nei normali comportamenti adattivi degli animali è stata chiamata impotenza appresa


Nell’esperimento, come hai potuto notare, a seguito di tale interferenza i cani del gruppo due, quando ne avrebbero avuto la possibilità, hanno mostrato una forte difficoltà a “mettersi in salvo” e porre fine alle proprie sofferenze.

Addirittura, scrive Seligman, alcuni di loro manifestarono il seguente comportamento: dopo essersi spostati accidentalmente dall’altra parte della gabbia ed essere così sfuggiti alle scariche, spontaneamente ritornarono indietro nella posizione iniziale, rimanendo in attesa che le scariche finissero.

Ti ho parlato di queste sperimentazioni non senza sentire una “stretta al cuore”, sia perché in generale amo gli animali, sia perché nello specifico ho la fortuna di conoscere l’amore di un amico a quattro zampe (in verità è una lei e si chiama Ricola).

Tieni conto che il comportamento indotto dall’impotenza appresa (insieme al dolore ad essa associato) non riguarda solo la specie canina: si tratta di un comportamento comune a tante altre specie, compresa quella umana.

Sempre nell’articolo del 1972 Seligman ipotizza che l’aspetto maggiormente determinante nella costituzione di questo tipo di apprendimento non sia tanto il dolore associato all’esperienza traumatica (aspetto certamente non trascurabile), quanto, al momento del trauma, il vissuto di non poterci fare niente, la consapevolezza di non aver alcun controllo sulla situazione.


Come puoi immaginare, questo tipo di esperienza è fonte di grande sofferenza; fortunatamente, essendo questa impotenza qualcosa di appreso, è possibile in qualche modo intervenire su di essa e favorirne il “disapprendimento”, per così dire.


Oltre ad un intervento a posteriori, come quello appena indicato, Seligman suggerisce l’utilità di interventi a priori. Attraverso azioni di tipo preventivo, egli dice, appare possibile ostacolare l’insorgenza di questa dolorosa “interferenza”.


Come è possibile favorire questo tipo di protezione? Sperimentando la nostra capacità di esercitare una qualche forma di controllo nelle esperienze che viviamo.

Quanto più ci viene sottratta questa possibilità, tanto più siamo esposti ai dolorosi effetti dell’impotenza appresa.

Viceversa, per quanto possano essere dolorose, difficili o “impegnative” le esperienze che ci troviamo ad affrontare, quanto più sperimentiamo in esse la capacità di esercitare una qualche forma di controllo rispetto a quanto stiamo vivendo, tanto più creiamo in noi una sorta di azione immunizzante contro l’insorgere dell’impotenza appresa e dei suoi effetti deleteri.

Prima iniziamo in tal senso, meglio è.


Cosa ne è stato dei cani dell’esperimento? Sono riusciti a liberarsi dalla loro impotenza appresa?


Seligman scrive che per liberare gli animali da quel senso di impotenza fu necessario passare attraverso l’esperienza diretta.


I cani si liberarono dal proprio senso di impotenza solo nel momento in cui furono “portati” a compiere materialmente (e ripetutamente) essi stessi i movimenti fisici necessari per mettersi in salvo.

Attraverso questa esperienza corporea essi poterono reintegrare le proprie memorie, avere di nuovo accesso alle proprie risorse e riacquisire la consapevolezza dei nessi causali fra il proprio comportamento e le conseguenze ad esso collegate.

Nel tempo sono stati fatti molti studi riguardo al tema dell’impotenza appresa. Per quanto riguarda gli esseri umani, oltre al lavoro sul corpo, sono di grande importanza anche gli interventi di tipo cognitivo.

Entrambi questi interventi mirano a stimolare nelle persone a cui essi sono rivolti presenza, vitalità e intenzionalità; detto in altri termini, l’obiettivo è risvegliare in loro la “fede” nella vita.

Mi tornano in mente in questo momento le parole di Carmen Vazquez Bandin a proposito di questo tipo di fede: non si tratta di qualcosa di religioso o di astratto; la fede, lei dice, è il sentire che quando fai un passo troverai il terreno sotto i tuoi piedi a sostenerti.

È questo il sentire a cui mi riferisco: è un sentire gravido di senso, è il sentire che tu puoi.


Pubblicato il 07/12/2020 - Photo by Merri J on Unsplash

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