Parte II
Fatte queste precisazioni preliminari possiamo adesso prendere in considerazione quelle che in Gestalt sono chiamate (o meglio, erano chiamate) interruzioni del processo di contatto.
Oggi ci si riferisce ad esse con il termine di reindirizzamenti dell’energia (cioè dell’eccitazione): questo per sottolineare che, anche nei casi in cui si verificano tali occorrenze, il contatto fra organismo e ambiente non si interrompe in senso assoluto.
In questi casi ciò che accade è che esso (il contatto) si realizza in una forma non piena, cioè in una forma che non consente l’emergere della novità e la sua assimilazione.
Coerentemente con l’impostazione della Gestalt, secondo la quale la patologia non è identificabile in uno stato in sé, ma nel perdurare di una data condizione a seguito di un irrigidimento nelle dinamiche del processo di contatto, Carmen Vázquez Bandín, riferendosi a tali reindirizzamenti energetici, ne parla in termini di capacità del sé.
Tali capacità (la confluenza, l’introiezione, la proiezione, la retroflessione e l’egotismo) sebbene siano in se stesse delle abilità al servizio del contatto possono tuttavia, in determinate circostanze, assumere la forma di quello che oggi viene considerato - come si è detto - un reindirizzamento dell’energia.
Quando questo accade - precisa la terapeuta spagnola - esse non adempiono più alla funzione che è loro propria, diventano invece un ostacolo all’emergere della novità e alla sua assimilazione.
In simili occorrenze si verifica un irrigidimento nel processo di contatto, il quale, a sua volta, determina nell’organismo un conseguente stato di sofferenza.
Una breve descrizione di queste capacità renderà più semplice comprendere, nel corso di questa breve trattazione, il legame fra l’ansia e le differenti maniere in cui l’eccitazione si blocca.
La confluenza è la condizione di mancanza di confini fra l’organismo e l’ambiente. Nel suo aspetto sano rappresenta la capacità di fondersi con l’altro (è la capacità di abbandonarsi all’ambiente). Nel suo aspetto nevrotico esprime il timore della differenziazione e l’incapacità o la difficoltà a separarsi dall’ambiente.
L’introiezione è la capacità di portare dentro di sé ciò che proviene dall’ambiente. Nel suo aspetto sano corrisponde alla capacità di assimilazione. Nel suo aspetto nevrotico rappresenta la sostituzione del proprio bisogno con quello dell’ambiente (è l’ingoiare senza masticare, vale a dire senza destrutturare il cibo, fisico o mentale che sia). Quando l’aspetto nevrotico prende il sopravvento, l’organismo non distingue fra ciò che è assimilabile e ciò che non lo è (vale a dire: fra ciò che è idoneo ad essere accolto e ciò che invece andrebbe rifiutato).
La proiezione è la capacità dell’organismo di muoversi dall’interno di sé verso l’ambiente esterno. Andare verso l’esterno significa mettere il proprio “appetito o un’altra pulsione in rapporto con un oggetto vagamente concepito”(1). Perché questo avvenga l’individuo deve fare due cose: accettare la propria eccitazione e affrontare l’ambiente. Quando questo accade si genera un’emozione, ed è proprio quest’ultima a svolgere un ruolo fondamentale in questo fase del processo di contatto. Grazie all’emozione, infatti, l’organismo riesce ad identificare un oggetto (o una serie di oggetti possibili) verso cui orientare successivamente la propria azione. A tal proposito - per inciso - ritengo utile sottolineare che il termine emozione deriva dal latino ex-movere e significa proprio muoversi da. Nel suo aspetto sano la proiezione rappresenta la capacità che l’organismo ha di incidere sull’ambiente (si pensi, ad esempio, ai progetti che precedono la realizzazione di un’opera: anche in questo caso si tratta di portar fuori ciò che era dentro). Nel suo aspetto nevrotico, invece, la proiezione rappresenta il rifiuto della propria parte di responsabilità nella creazione della figura: l’individuo sente l’emozione ma, invece di riconoscerla come propria, la attribuisce all’ambiente.
La retroflessione “è il processo di riformare se stessi, per esempio correggendo un approccio poco pratico o riconsiderando le possibilità dell’emozione, e compiendo di conseguenza un riadattamento come base di azioni ulteriori”(2). Nel suo aspetto sano - sottolinea Vázquez Bandín - è la capacità di scegliere riguardo alla propria intimità, decidendo con chi e rispetto a che cosa aprirsi. Nel suo aspetto nevrotico, invece, essa rappresenta per l’individuo l’incapacità di fronteggiare i propri sentimenti (per paura di ferire l’ambiente o per paura di essere feriti da quest’ultimo). Quando l’aspetto nevrotico prende il sopravvento le energie che prima erano impegnate nelle funzioni di orientamento e manipolazione dell’ambiente vengono “rivolte contro gli unici oggetti privi di pericolo disponibili nel campo, e cioè la propria personalità e il proprio corpo”(3).
L’egotismo è “un rallentamento della spontaneità a causa di un’introspezione e di una cautela deliberata”(4). Nel suo aspetto sano - sottolinea ancora Vázquez Bandín - esso rappresenta la capacità di far fronte alle situazioni difficili mettendo momentaneamente da parte le sensazioni e le emozioni. Nel suo aspetto nevrotico rappresenta l’incapacità di lasciarsi andare (l’individuo sente un forte bisogno di tenere le sue esperienze sotto controllo). In ragione di quest’ultimo aspetto faccio presente, per inciso, che Robine considera l’egotismo come una forma specifica di retroflessione.
Torniamo adesso ad occuparci del fenomeno dell’ansia.
Ho già evidenziato che quest’ultima in Gestalt è considerata come la manifestazione di un blocco dell’eccitazione.
Le teorie riguardo all’origine di tale blocco sono numerose.
Fra le tante, voglio riportare quella formulata da Laura Perls; quest’ultima collega l’insorgere dell’ansia ad una mancanza di supporto sperimentata dall’organismo durante il processo di contatto.
Più precisamente - lei dice - in assenza di supporto (sia in termini di autosostegno sia termini di sostegno ambientale) si viene a creare un’interruzione dell’eccitazione.
Tale interruzione (che avviene in maniera involontaria, va precisato) impedisce all’individuo di vivere le esperienze nelle loro pienezza.
Tutto ciò - sostiene Laura Perls - produce come risultato uno stato ansioso, il quale, a livello fenomenologico, è primariamente identificabile in un respiro corto, bloccato, insufficiente a sostenere l’eccitazione prodotta dalla situazione.
(Continua)
Note
Perls F., Hefferline R., Goodman P., La terapia della Gestalt. Vitalità e accrescimento nella persona umana, p. 258
Op. cit. p. 260
Ibidem
Op. cit. p. 261
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