
A volte si pensa che per superare una paura l’unico modo realmente efficace sia quello di fronteggiarla.
Spesso questo fronteggiare la paura si traduce nell’osservarla con l’idea di modificarla, di controllarla, di sconfiggerla per l’appunto.
A livello cognitivo sono da inserire in questo tipo di “azioni” tutti i ragionamenti, le considerazioni, le cose che diciamo a noi stessi per tranquillizzarci di fronte alle cose che ci spaventano.
Sebbene in molte circostanze questa strategia sia utile e funzioni, non sempre però si rivela la soluzione migliore: agire sulla paura, infatti, in qualche maniera tiene “legati” alla paura (ciò è dovuto al fatto che in qualche modo ci si identifica con essa).
Un’altra opzione è quella di praticare degli esercizi di consapevolezza, così da sviluppare quello che viene chiamato uno stato di presenza, cioè la capacità di cogliere nel qui e ora (in modo non giudicante) quello che sta accadendo, quello che stiamo sperimentando, quello che stiamo vivendo, interrompendo in tal modo le abituali “fughe” del nostro pensiero verso il passato e verso il futuro.
Grazie a questo stato di presenza possiamo mettere in atto un utile processo di disidentificazione dalle nostre idee (comprese le paure): tutto ciò si traduce in una maggiore capacità di scelta, di azione e di “crescita”.
Questo modo di rapportarsi alla paura non è in verità quello che si manifesta per primo, d’istinto, per così dire; e infatti di fronte ad un “pericolo” siamo spontaneamente portati a focalizzare su di esso in maniera esclusiva la nostra attenzione; facciamo così perché riteniamo che quella cosa che ha generato tale emozione metta a rischio la nostra incolumità.
Tutto ciò è certamente vero e rappresenta un indubbio vantaggio evolutivo.
Al tempo stesso questo tipo di risposta può far nascere in noi (erroneamente) la convinzione che se non ci occupiamo direttamente della nostra paura, cioè se non facciamo qualcosa su ciò che l’ha generata, allora significa che non stiamo facendo niente al riguardo, e rimaniamo così esposti al pericolo che ha generato quell’emozione.
Come ti dicevo, questo tipo di azione sulla paura, per quanto utile ed efficace, non è sempre la soluzione migliore.
A questo proposito voglio raccontarti una storia di vita familiare.
Qualche giorno fa mia figlia di cinque anni si è svegliata nel cuore della notte per via di un brutto sogno che aveva fatto.
Dopo esserle stato vicino e aver parlato con lei di questo sogno, mi preparavo a darle di nuovo la buonanotte, ma lei non si sentiva ancora sufficientemente tranquilla per potersi riaddormentare, così abbiamo avuto il dialogo che segue.
Padre: “Amore sai che anche Babbo quando era piccolo ogni tanto faceva qualche brutto sogno? A volte succede anche adesso, però ho imparato a fare un respiro speciale che mi aiuta molto a stare tranquillo e così, se faccio un sogno che non mi piace, faccio questo respiro speciale e mi tranquillizzo, mi rilasso e sto bene. Vuoi che lo insegni anche a te?”.
Figlia: “Si”.
Padre: “Va bene, allora si fa così: quando respiri fai attenzione all’aria che entra e che esce dal naso. Fai attenzione alle sensazioni che senti quando l’aria entra e quando esce. Se ti concentri abbastanza, ti puoi anche rendere conto che quando l’aria entra è un po’ più fresca e quando esce è un po’ più calda. Tutto chiaro?”.
Figlia: “Si”.
Padre: “Ok, mentre continui a respirare, ripeti queste parole dentro la tua testa: ‘dentro’, quando l’aria entra e ‘fuori’, quando l’aria esce, va bene?”.
Figlia: “Va bene”.
Padre: “Amore, un’altra cosa importante: quando butti fuori l’aria, ricordati sempre di sorridere”.
Dopo aver fatto un po’ di pratica insieme, ho dato di nuovo la buonanotte alla bambina ormai tranquilla e sono tornato a dormire nella mia stanza insieme a mia moglie.
Il giorno seguente il dialogo è proseguito in questo modo.
Figlia: “Babbo, non lo so se funziona bene il respiro speciale che mi hai insegnato”.
Padre: “Ah sì, e come mai?”.
Figlia: “Perché, quando l’ho fatto, ho smesso di pensare al sogno e ho iniziato a pensare ad altre cose, e poi mi sono addormentata”.
Padre (sorridendo): “E questo come è stato per te?”.
Figlia: “Andava bene”.
Padre (sorridendo): “Si, lo credo anch’io. Ti voglio bene Gabri”.
Figlia (sorridendo): “Ti voglio bene anche io Babbo”.
Pubblicato il 04/10/2020 - Photo by Benjamin Voros on Unsplash
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