“I segreti dei sentieri della vita non si devono e non si possono rivelare. Ci sono pietre d’inciampo su cui ogni viandante deve incespicare. Ma il poeta addita il punto”.
La lettura di questa frase di Johann Wolfgang von Goethe mi ha fatto tornare alla mente un testo di René Girard intitolato Il capro espiatorio.
Anche in quest’opera, infatti, l’Autore parla di una pietra d’inciampo, sebbene, in questo caso, contrariamente alla frase di Goethe, la rivelazione del segreto (sarebbe più opportuno dire dello scandalo) venga presentata come qualcosa di esplicitamente compiuta (e non semplicemente additata).
Nonostante questa differenza, credo che i due tipi di rivelazione (quella del poeta e quella a cui allude Girard) si richiamino in qualche modo; d’altra parte - come evidenzia Martin Heidegger - la verità è spesso rivelata dai folli, dai mistici, dai bambini … e dai poeti.
Prendendo spunto da queste considerazioni ho pensato di scrivere un articolo dedicato alle dinamiche sociali, ai rapporti fra il singolo e la comunità, e ai rapporti fra l’uno e i molti.
Nel farlo scriverò proprio di Girard e dei suoi studi sul capro espiatorio.
Il cuore delle argomentazioni di Girard è costituito da quella che egli chiama teoria mimetica.
Secondo tale teoria ogni uomo tenderebbe a desiderare e a identificare gli oggetti del proprio desiderio sulla base del comportamento assunto dalle altre persone; in sostanza: ciascuno sarebbe modello per l’altro e, contemporaneamente, avrebbe quest’ultimo come modello.
Con il passare del tempo, però, per ogni individuo, l’altro, che prima era semplicemente un modello di ispirazione, diventerebbe piano piano un competitore, un ostacolo frapposto fra sé e l’oggetto del proprio desiderio.
L’esasperarsi di questa condizione (con il carico di violenza ad essa sotteso), se non fosse in qualche modo regolata, metterebbe a rischio il perdurare della stessa vita sociale nel suo complesso.
Per evitare tale evenienza - dice Girard - interviene ancora una volta il medesimo processo mimetico, che si configura in tal modo, allo stesso tempo, come fonte di disordine e di ordine.
Vediamo come accade tutto ciò.
Prima che la situazione degeneri completamente, il mimetismo, diventato fonte di disordine - scrive lo studioso francese - si trasforma in una fonte di ordine e lo fa in questo modo: la società nel suo complesso (o meglio: quasi tutta) per mezzo di un comportamento mimetico (tutti fanno la stessa cosa) espelle la violenza cresciuta al suo interno attraverso un atto collettivo di violenza, e in questo modo apparentemente si salva.
Scrivo apparentemente perché - come evidenzia Girard - l’azione non è in se stessa risolutiva: ciclicamente l’intero processo si ripete.
Il principio messo in evidenza da Girard è dunque questo: “la violenza che si autoespelle, mediante la violenza, per fondare tutte le società umane”.
Prima di occuparci della pietra d’inciampo dalla quale siamo partiti, è opportuno dedicare qualche parole in più alla maniera in cui - secondo Girard - concretamente avviene questa espulsione.
Tutto ciò ci conduce al tema del capro espiatorio e della rappresentazione persecutoria ad esso connessa.
Secondo lo studioso francese, il movimento mimetico (dunque collettivo) e violento tramite il quale la violenza viene espulsa dalla società si concretizza secondo precisi stereotipi.
Alla base di questa azione violenta - scrive Girard - vi è l’esperienza dell’indifferenziazione.
Quando una grande crisi colpisce una comunità crollano le regole e le differenze che definiscono gli ordini culturali: tutto diviene confuso, ogni comportamento e ogni situazione finisce per corrispondere in qualche modo al suo opposto.
I processi mimetici si esasperano e si susseguono in un ritmo sempre più serrato.
La reciprocità dei comportamenti diventa sempre più evidente, non solo relativamente agli scambi positivi o di amicizia, ma anche, e soprattutto, rispetto a quelli ostili, che tendono a moltiplicarsi e a prendere il sopravvento.
Lo schema è di questo tipo: Tu mi hai fatto questo? Io ti farò quest’altro. Tu mi parli così? Allora io ti parlerò in questo modo. E similmente procedendo.
Così scrive Girard: “Anche se oppone gli uomini tra loro, questa reciprocità cattiva rende i comportamenti uniformi ed è all'origine di una predominanza del medesimo, sempre abbastanza paradossale perché essenzialmente conflittuale e solipsistica”.
Il primo stereotipo della persecuzione è dunque quello della crisi che produce indifferenziazione.
“Poiché la crisi è innanzitutto una crisi del sociale” - precisa Girard - “esiste una forte tendenza a spiegarla attraverso cause sociali e specialmente morali”.
Questo corrisponde al secondo stereotipo, e cioè: esistono crimini indifferenziatori (nel senso che alimentano l’indifferenziazione sociale sopra descritta) i quali hanno natura soprattutto morale.
Ad essere colpiti da tali crimini - scrive Girard - sono anzitutto i rapporti umani; questi ultimi, sotto la spinta dell’indifferenziazione, tragicamente tendono a disgregarsi.
Gli individui, che pure sono gli artefici di questi rapporti sofferenti, invece di riconoscere la propria responsabilità riguardo allo sfaldarsi dei legami sociali, tendono a comportarsi nel modo seguente (e con questo arriviamo al terzo stereotipo).
Da un lato, essi attribuiscono la colpa di tale degenerazione alla società nel suo complesso; dall’altro, identificano un particolare gruppo di individui che, per caratteristiche particolari, ben si presta ad essere riconosciuto come la causa dei terribili mali che hanno scatenato la crisi.
In entrambi i casi siamo di fronte ad un ampio processo di deresponsabilizzazione.
Per quanto ogni società abbia proprie peculiarità - scrive Girard - esiste tuttavia un criterio transculturale di selezione vittimaria.
La vittima - precisa lo studioso francese - è universalmente ricercata fra coloro che si distinguono dalla norma vigente nella società in cui si trovano.
La vittima - in sostanza - rappresenta una anormalità sociale.
In una condizione in cui la norma è definita dalla media dei comportamenti, tanto più ci sia allontana dalla media - scrive Girard - tanto più si è esposti all’azione persecutoria.
Su questo aspetto sono necessarie alcune precisazioni.
“L’esaltazione contemporanea della differenza” - sottolinea lo studioso francese - “non è che l’espressione astratta di una maniera di vedere comune a tutte le culture”.
Ogni individuo tende a sentirsi più differente rispetto agli altri.
Parallelamente, ogni società tende a sentirsi più differente rispetto alle altre; meglio ancora: la più differente rispetto alle altre.
I criteri di selezione vittimaria sono dunque espressione non della differenza interna al sistema, ma della differenza esterna.
Le vittime sono coloro che non si differenziano nel modo corretto (o, al limite, quelle che non si differenziano affatto).
Esse - in sostanza - non colgono (e non fanno proprie) le giuste differenze che invece dovrebbe cogliere, ecco perché il sistema le allontana da sé.
Il motivo è presto detto: la differenza esterna al sistema è per quest’ultimo terrificante, poiché gli rivela la sua relatività, e con ciò la sua fragilità.
“Al contrario di quanto attorno a noi si ripete” - scrive Girard - “non è mai la differenza a ossessionare i persecutori, è sempre il suo inconfessabile opposto: l’indifferenziazione”.
Veniamo infine all’ultimo stereotipo, il quarto.
Esso corrisponde alla violenza stessa, e, nello specifico, all’espulsione della violenza nella maniera sopra indicata.
Tutto ciò avviene a seguito di un processo di proiezione della colpa (e della violenza) su di una vittima designata (il capro espiatorio).
Tale vittima (questo aspetto è fondamentale) è ritenuta dalla comunità come realmente responsabile dei mali sociali.
Alla base di questa attribuzione di colpevolezza - scrive Girard - risiede quello che si potrebbe definire un inconscio persecutorio (nel senso che la comunità che agisce l’azione violenta non è consapevole dei meccanismi proiettivi che la spingono ad agire in tal modo).
Ad ogni modo, il capro espiatorio così identificato pone fine alla crisi.
Sanando le lacerazioni interpersonali, grazie alla proiezione di ogni misfatto sulla vittima, la società ritrova il suo ordine perduto.
Non sono solo i rapporti umani ad essere sanati, la società ha l’impressione che l’azione salvifica del capro espiatorio agisca anche sulle cause esterne della crisi (siano esse pestilenze, carestie, calamità naturali, ecc.).
Su questo fondo di violenza - come si è detto - è stata edificata in maniera instabile ogni società umana.
Ogni potere che fino ad oggi ha governato lo ha fatto - scrive Girard - operando all’interno dei processi mimetici (ed espulsivi) sopra descritti.
Le dinamiche appena esposte mi hanno fatto tornare alla mente alcune pagine della Fenomenologia del potere di Heinrich Popitz.
Qui, a proposito dei meccanismi che conducono alla presa del potere, il sociologo tedesco espone quello che egli definisce il processo di scaglionamento.
Rispetto all’argomento in questione, nella sua opera l’Autore si propone di descrivere processi universalmente riscontrabili in ogni società umana (per quanto attiene alle dinamiche).
Così Popitz descrive il processo di scaglionamento.
Siamo all’interno di un insieme di individui.
Ad un certo punto si forma un gruppo - egli dice - che intende conquistare il potere.
Per farlo, esso necessita dell’appoggio di un altro gruppo (il primo nel processo di scaglionamento).
A quest'ultimo il gruppo aspirante al potere riconosce una serie di vantaggi in cambio del suo supporto nell'azione di conquista in atto.
Perché l’azione possa consolidarsi - scrive Popitz - è necessaria anche la presenza di un secondo gruppo che, apparentemente (almeno all’inizio), sembri non aver ragioni per essere coinvolto dalle dinamiche in atto nel sistema.
Questo gruppo di neutrali - scrive il sociologo tedesco - è decisivo per la presa del potere.
Con il passare del tempo, anche i neutrali saranno posti nella condizione di non potersi più disinteressare dei processi in atto, ma, quando questo accadrà, essi non avranno più modo di esercitare alcuna opposizione.
Prima che questo avvenga, però, è necessaria la formazione di un terzo gruppo.
Esso - scrive Popitz - è composto dagli estranei, dai diversi, dai nuovi o - per dirla con le parole di Girard - da coloro che non si differenziano nella maniera corretta.
Ebbene, questo terzo gruppo di sottoprivilegiati, di “paria”, di “servi della gleba” - scrive il sociologo tedesco - sarà progressivamente arricchito (procedendo in maniera oculata) attingendo gradualmente dai componenti del secondo gruppo.
Quest’ultimo, a sua volta, finirà per diventare, da una parte, l’esercito di riserva al servizio del potere, dall’altra, la massa indistinta dei dominati.
Fatte le dovute differenze, sembrerebbe tuttavia che, anche nelle riflessioni di Popitz, sia possibile riconoscere in azione un meccanismo che, per certi versi, richiama quello individuato da Girard, vale a dire il meccanismo dell’espulsione.
Dopo questa non breve premessa, torniamo finalmente alla pietra dello scandalo, ossia all’inciampo dal quale siamo partiti.
“Derivato da skazein, che significa zoppicare” - scrive Girard - skandalon indica l’ostacolo che respinge per attirare e attira per respingere. Non si può inciampare su questa pietra una prima volta senza tornare sempre ad inciampare su di essa, perché l’incidente iniziale e quindi quelli successivi la rendono sempre più fascinatrice”.
Lo studioso francese vede nello scandalo una accurata definizione dell’intero processo mimetico fin qui descritto.
Desiderando quello che gli altri desiderano - come già è stato detto - finiamo per vedere questi ultimi come dei rivali, come un ostacolo che si frappone fra noi e i nostri desideri.
Non trovando che ostacoli lungo la propria strada, il desiderio finisce per incorporare tali ostacoli nella rappresentazione stessa del desiderabile, arrivando a non poter più esistere in loro assenza.
Così facendo, la ricerca della soddisfazione diventa spasmodica, avida, carica d’odio.
Su tali dinamiche - come si è detto - si innestano le rappresentazioni persecutorie, l’azione del capro espiatorio e i meccanismi espulsivi.
Da quanto fin qui esposto, sembrerebbe non esserci via di scampo all’azione violenta ed espulsiva sulla quale si fonda il disordine e l’ordine delle società, poiché l’intero processo (giova ribadirlo) si realizza e si mantiene per mezzo dell’inconsapevolezza dei meccanismi proiettivi sottostanti.
Ma - scrive Girard - se tali processi inconsci fossero resi consci lo stesso meccanismo espulsivo diverrebbe caduco e, nel tempo, sarebbe possibile un altro tipo di ordinamento sociale (un ordinamento non più fondato sulla ciclicità della violenza e dell’espulsione).
A questo proposito, la tesi dello studioso francese è che i Vangeli abbiano rivelato e reso conscio il meccanismo del capro espiatorio, e con ciò abbiano aperto nuove possibilità al vivere sociale.
Per quanto nei testi evangelici non compaia l’espressione capro espiatorio, tuttavia - dice Girard - in essi è possibile trovare quanto necessario sapere per potersi proteggere dalle insidie del meccanismo espulsivo.
La rivelazione a cui ci stiamo riferendo consiste in questo: la vittima (Gesù) è stata messa a morte senza causa (cioè innocente).
Il processo è stato reso esplicito.
Gesù - scrive Girard - è sia la pietra scartata dai costruttori (poi divenuta testata d’angolo), sia la pietra dello scandalo (quella nella quale anche il saggio può inciampare, perché facilmente confondibile con tutti i precedenti capri espiatori).
Per quanto il meccanismo di messa a morte di Gesù possa apparire identico a tutti i precedenti - precisa Girard - in realtà non lo è: l’innocenza della vittima è stata dichiarata; attraverso la sua espulsione viene realizzata l’espulsione dell’espulsione.
Senza l’inconsapevolezza, “che fa tutt’uno con la fede sincera nella colpevolezza della vittima”, i persecutori sarebbero liberi e non si lascerebbero rinchiudere dietro le sbarre della rappresentazione persecutoria.
Quest’ultima - continua Girard - è “una prigione di cui costoro non vedono i muri, una servitù tanto più totale in quanto si prende per libertà, un accecamento che si scambia per perspicacia”.
Se mai ce ne fosse bisogno, invito il lettore a considerare quanto fin qui esposto non dal punto vista prettamente religioso, ma sotto l’aspetto delle implicazioni psicologiche e delle connesse dinamiche sociali.
Prima di concludere queste pagine, trovo utile sottolineare che il sentimento più caratteristico del meccanismo espulsivo non è la paura (come forse si potrebbe pensare), ma la vergogna.
Quest’ultima fa da contraltare al sentimento che si prova quando si sperimenta l’appartenenza ad un gruppo: maggiore è l’una, minore è l’altro.
D’altra parte, come scrive Martin Buber nella sua opera Il principio dialogico, in “nessun caso […] l’appartenenza a un gruppo sottintende già una relazione essenziale fra un membro e l’altro”.
Costantemente oscilliamo fra due modi di essere - scrive ancora Buber - ciascuno dei quali è in conformità con il dualismo delle parole base che ogni uomo può pronunciare: la coppia Io-Tu e la coppia Io-Esso.
Alla prima coppia corrisponde il mondo della relazione, un mondo nel quale, rapportandoci da pari a pari con il nostro interlocutore, nella traità fra soggetti possiamo cogliere i disvelamenti del significato.
Alla seconda coppia corrisponde invece il mondo dell’esperienza, un mondo nel quale ci rapportiamo all’altro come un oggetto da studiare, da giudicare ed eventualmente da utilizzare come strumento al servizio dei nostri bisogni.
Costantemente oscilliamo fra questi due modi d’essere (lo abbiamo detto), perché - come scrive Buber - “senza l’Esso l’uomo non può vivere; ma non è uomo chi se ne accontenta”.
Alla fine di ogni anno è consuetudine scambiarsi gli auguri per l’anno nuovo che arriva.
Il mio augurio per quest’anno (e per quelli che verranno) è che ciascuno cessi di essere scandalo per il prossimo e che tutti noi, sempre più, possiamo ritrovarci nella dimensione del significato, quella propria della relazione, quella nella quale ogni Io si rapporta ad un Tu.
Buon 2022!
Pubblicato il 17/12/2021 - Photo by Miguel Bruna on Unsplash
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