Il meglio è nemico del bene
- muoniguido
- 4 giorni fa
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Carl Jung chiama enantiodromia il movimento per il quale una polarità tende a trasformarsi nella sua controparte.
La ragione di ciò risiede nel fatto che la nostra psiche cerca equilibrio: quando in noi un aspetto tende a diventare dominante in forma unilaterale contestualmente il suo opposto si prepara ad emergere.
Di questa verità psicologica facciamo esperienza di continuo.
Si consideri - a titolo di esempio - il caso del perfezionismo nel lavoro.
Più cerchiamo la perfezione, più in noi aumenta la paura di sbagliare; con quest’ultima cresce l’insoddisfazione e la sensazione che il tempo si restringa.
Nel mentre, dolorosamente, iniziamo a temere sempre più di non essere all’altezza del compito.
E allora rimandiamo la consegna del lavoro, correggiamo e cancelliamo di continuo quello che avevamo già fatto.
Perdendoci in dettagli inutili finiamo in ultimo per non consegnare nulla.
Il crollo della nostra produttività e della nostra autostima è così dinanzi ai nostri occhi.
Il perfezionismo - che pensavamo potesse aiutarci a fare meglio - a questo punto rovina miseramente nel suo contrario: inefficienza, caos, senso di fallimento.
Dinamiche simili (pur con le debite differenze) si possono osservare anche in ambiti diversi da quelli del lavoro. La ricerca della perfezione nelle relazioni ne è un esempio.
Quanto detto - lo preciso - non va letto come un invito ad un banale accontentarsi o a fare le cose con pressappochismo.
Non è questo il punto. Ciò di cui stiamo parlando sono le dolorose conseguenze che accompagnano i nostri atteggiamenti unilaterali e tutte quelle situazioni nelle quali le nostre tendenze ossessive diventano di fatto paralizzanti o controproducenti.
Di frequente in tali occorrenze, fra le altre cose, si osserva evidente l’intensa ricerca di un’autostima percepita come carente; altre volte ancora invece, nelle stesse circostanze, è più evidente il forte bisogno di preservarla questa preziosa e per certi versi sopravvalutata autostima.
Sopravvalutata sì, perché - contrariamente a quanto spesso si pensa - non è la sua mancanza a farci più male: molte persone infatti soffrono pur avendo un’alta opinione di sé.
Allargando il discorso a partire dalle riflessioni junghiane iniziali, trovo utile sottolineare che in molte circostanze, là dove non può l’autostima arriva il balsamo generoso della compassione, il cui potere crea connessioni emotive, mostra similitudini e scioglie la dolorosa morsa degli unilateralismi.
È anche così che si comprende che il meglio (sia che ci guardiamo dentro, sia che guardiamo fuori) in molte circostanze è davvero nemico del bene.




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