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muoniguido

Quando la rigidità soffoca la spontaneità



Il rancore - scrive Fritz Perls - è “l’equivalente psicologico del morso che non lascia la presa”, e aggiunge: è l’equivalente “della mascella irrigidita”.

Come puoi bene immaginare, una mascella irrigidita nell’atto di mordere è una mascella che non può esercitare la sua funzione: non può né masticare (così che il cibo possa essere successivamente ingoiato e digerito), né lasciar andare la presa, è come congelata in un presente sospeso.

Qualcosa di simile accade a chi è irrigidito nel rancore: anch’egli vive immobile attaccato (e in qualche modo incatenato) all’oggetto verso il quale nutre tale sentimento.

Fintanto che permane questa condizione di presente sospeso, per questa persona è molto difficile cogliere le novità che il qui e ora è in grado di offrire, poiché la condizione sospesa si antepone a quella presente (celando le possibilità che in essa sono contenute).

Il rancore, insieme al rimorso e al risentimento, costituisce una triade particolarmente pericolosa; non a caso Sergio La Rosa definisce questi tre elementi come blocchi della resilienza.

Tieni presente che per la Terapia della Gestalt l’origine della sofferenza va ricercata in una condizione di irrigidimento a seguito della quale viene a mancare la spontaneità e la capacità di vivere le esperienze in maniera flessibile.

Ti faccio un esempio: la diffidenza nei confronti del prossimo non è qualcosa che possa essere considerata in assoluto come qualcosa di buono o di cattivo. In ottica gestaltica la si considera come una capacità.

Come tutte le capacità essa è posta al servizio del nostro benessere quando è flessibile e dà spazio alla nostra spontaneità; al contrario, diventa fonte di sofferenza quando si irrigidisce, cioè quando ci impedisce di sentire e di agire diversamente a seconda della situazione.

Per essere più chiari: a seconda delle circostanze è utile (addirittura necessario) essere diffidenti nei confronti del prossimo; il problema nasce se non riusciamo a fidarci di nessuno in nessuna circostanza (è in questo senso che in Gestalt si dice che la rigidità soffoca la spontaneità: la libertà di sentire e di agire in maniera flessibile qui è limitata da uno schema rigido).

Tornando alla triade di cui sopra: non è un problema in sé il fatto che una persona possa provare, ad esempio, del risentimento per qualche esperienza vissuta.

Tutto ciò diventa problematico e fonte di ulteriori sofferenze quando questo sentimento non si scioglie, non muta, non arriva a trasformare in qualche maniera se stesso o l’ambiente.

Nei casi più severi tale blocco non si limita a congelare solo l’esperienza in una data situazione, ma arriva a inquinare il modo di vivere le esperienze in generale.

Forse ti starai chiedendo come fare a sciogliere questa rigidità e a spezzare le sue catene.

Il primo passo in tal senso - dice Sergio La Rosa - è prenderne consapevolezza.

Se mai ce ne fosse bisogno, preciso che la consapevolezza a cui egli fa riferimento non è la semplice consapevolezza del sentimento in sé (cosa che quasi sicuramente è già nota alla persona che prova rimorso, risentimento o rancore).

La consapevolezza di cui parla La Rosa è la consapevolezza del come tale sentimento tenga legata la persona ad un presente sospeso, con tutto ciò che ne consegue.

Nella pratica clinica parte del lavoro è dedicata proprio allo sviluppo di tale consapevolezza.

Nel salutarti ti segnalo un testo di piacevole lettura con il quale, se vuoi, puoi avvicinarti alla Terapia della Gestalt, se ancora non la conosci, o puoi approfondire le tue conoscenze, se già hai incominciato a studiarla.

Il testo che ti segnalo è questo: Fritz Perls, L’approccio della Gestalt. Testimone oculare della terapia.

Buona lettura.


Pubblicato il 15/10/2021 - Photo by Jakub Kriz on Unsplash

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